Poetica della sedia – Sedia sediola

Rome Art Week 2023
Poetica della sedia – Sedia sediola
Ideazione
Eclario Barone, Claudio Bonuglia, Roberta Melasecca, Alberto D’Amico, Azadeh Shirmast
In esposizione opere, foto e installazioni di
Antonella Albani, Carmelo Baglivo, Eclario Barone, Marco Bernardi, Claudio Bonuglia, Alberto D’Amico, Ysabel Dehais, Nina Eaton, Francesco Ghisu, Emanuela Lena, Gulia Lusikova, Azadeh Shirmast, Silvia Stucky
Interventi teatrali e letture
Andrea Dugoni, GIovanna Floris, Antonio Sanna, Chiara Serani (intervistata da Marco Giovenale)
Tavola rotonda e discussioni
Carmelo Baglivo, Bruno Lo Turco, Marina Scognamiglio ed altri…

Dal 20 ottobre al 18 novembre 2023
Studio Campo Boario
Viale del Campo Boario 4a – Roma

Venerdì 20 ottobre alle ore 17.00, all’interno dell’ottava edizione di Rome Art Week, Studio Campo Boario presenta Poetica della sedia – Sedia Sediola, progetto che nasce da una intuizione di Claudio Bonuglia, Azadeh Shirmast e Eclario Barone e successivamente elaborato da Roberta Melasecca e Alberto D’Amico. 

All’esposizione di sedie d’artista, interamente costruite o reinventate a partire da oggetti dismessi e realizzate da Carmelo Baglivo, Eclario Barone, Marco Bernardi, Claudio Bonuglia, Alberto D’Amico, Ysabel Dehais, Nina Eaton, Emanuela Lena, Gulia Lusikova, Azadeh Shirmast, Silvia Stucky, si uniscono una foto di Antonella Albani, dodici disegni di Francesco Ghisu, la performance di Melissa Lohman, la lettura da parte dell’autore di un testo scritto da Antonio Sanna, la presentazione del libro Dialoghi della sedia di Chiara Serani, a cura di Marco Giovenale, l’omaggio a Simone Carella e al suo spettacolo Autodiffamazione, che prevedeva in scena unicamente una sedia, grazie ai materiali offerti da sua figlia Elettra Carella Pignatelli, la riduzione del testo Le sedie di Eugene Ionesco, letto da Giovanna Floris e Andrea Dugoni, un video di montaggio a cura di Alberto D’Amico e Nicola De Simone e una tavola rotonda, che prevede una discussione sul tema della sedia da parte di filosofi, architetti, designer, antropologi, sociologi, psicologi.

Sarà un’occasione per esplorare il ruolo della sedia nella storia dell’arte, nell’architettura e nella cultura, nonché nel contesto più ampio dello sviluppo umano. Attraverso gli incontri, i vari interventi e la mostra si potrà scoprire come un oggetto così comune possa avere un impatto straordinario sulla nostra percezione del mondo e sulla nostra stessa evoluzione.

Durante il vernissage, alle ore 19.30 è prevista la performance di Melissa Lohman che verrà poi ripetuta il 9 novembre.

26 ottobre h 18.30
Talk – Dimmi dove ti siedi e ti dirò chi sei
relatori: Marina Scognamiglio, Anna Rossillo, Salvatore Intelisano

27 ottobre h 18.30
La sedia e il cielo – Lettura del testo dell’autore Antonio Sanna

5 novembre h 18.00
Omaggio a Simone Carella e al suo spettacolo “Autodiffamazione”, che prevedeva unicamente la presenza di una sedia in scena. A cura di Elettra Carella Pignatelli

9 novembre h 18.00
Dialoghi della Sedia – presentazione del libro di Chiara Serani. Dialogheranno con l’autrice Marco Giovenale e Luigi Severi

TESTO CRITICO

La mia sedia è la mia casa
Dell’abitare e altre storie
di Roberta Melasecca

Abitare deriva dal latino habitare, frequentativo di habere, ovvero continuare ad avere, una determinata accezione del possedere che si reitera nel tempo, che non termina nel momento stesso dell’azione ma attraversa un sistema di colori, forme, persone, oggetti. La casa è di sicuro una delle prime condizioni dell’abitare e la sua forma, quella del permanere nei luoghi, si è modificata con i cambiamenti delle ere e delle culture, con i pensieri e con le azioni, con la stratificazione di vite, con il perdurare dei riti, con le nascite e con le morti, con le metamorfosi dei corpi e delle anime. 

La casa, come afferma Emanuele Coccia discutendo del suo libro La filosofia della casa. Lo spazio domestico e la felicità, è un cerchio magico al cui interno abbiamo accumulato cose che non possiamo più distinguere da noi, è quella strana operazione alchemica in cui spostiamo noi stessi per produrre felicità. La casa rende possibile una intensità morale, continua Coccia, e coincide con quello spazio artefatto, con quella curiosa cucina del reale che mescola ingredienti ad immagine di noi. La casa si informa della nostra sostanza e conserva le nostre auree indipendentemente dal persistere della presenza fisica: ogni elemento in essa contenuto diventa prolungamento della nostra mano, arto artificiale di coesistenza di materia e spirito. Capiamo cosa è una casa, e dunque approfondiamo meglio le dinamiche dell’abitare, solo quando traslochiamo. Questo afferma sempre Emanuele Coccia, ed ognuno di noi potrà narrare storie di passaggi e di spostamenti, di lasciti ed abbandoni. 

La mia storia, ad esempio, è legata indissolubilmente al mio essere abitare, al mio essere casa. Io sono casa, la casa è quello che io sono e dove sono; gli oggetti che poso, spalmo e distribuisco sono essenza di me e di chi mi ha preceduto, racconto politico (da πóλις) delle generazioni. La casa è la sedia in cui mi sedevo di fronte a mia nonna, intenta nel ricamo, la casa è la sedia in cui era poggiata lei, mentre ricamava per me. La casa è la sedia-attesa, è la sedia-ritorno, è la sedia-profumo nel corridoio. È la sedia-oggi-di-me che vago nelle stanze e cambio sedia in funzione delle azioni delle mie giornate. È la sedia morbida per la cura o la sedia dura per la fermezza; è la sedia della sera perchè esiste solo la sedia. È la sedia dei rituali, quelli di prima e quelli di adesso, che affermano e confermano me, anche se sono seduta lontana, in altre sedie che non mi appartengono. La sedia è emblema del corpo e, come tale, effigie della casa, proiezione delle idee, dimensione dell’abitare i luoghi e le città, primo raggiungimento evolutivo che modifica i punti di vista spaziali. 

Casa è la sedia di Azadeh Shirmast, uno spazio interiore del non dire, attraversabile solo dal pensiero, dove si può entrare ed uscire navigando, facendo esperienza delle nuvole, fluttuando nel terreno e strisciando nell’aria, impalpabile e serena; è la casa determinata dal colore preciso, il rosso, della fragilità e della fortezza, del non avvicinamento, della distanza, verso cui non posso tendere la mano. 

Casa è la sedia intrecciata e sospesa di Ysabel Dehais, quella apparente dello svago e della spensieratezza che poi si trasforma in sistema di affermazione di una società; ed è la stessa sedia, che varia solo materiali, e diventa meccanismo di dominazione nel trono di Claudio Bonuglia. È la sedia vuota, spoglia, delle ombre trascorse, delle tracce rimaste, della fine coincidente con l’inizio, deprivata di aliti e respiri di Antonella Albani; casa è la sedia transeunte di Silvia Stucky, del permanere e dell’andare, impressa di fossili immaginifici, fiori lontani, reti di storie, immagini di mondi. 

Casa è lo specchio riflesso del gioco imperscrutabile di Marina Scognamiglio, dove, proiettata davanti e dietro, recupero frammenti di me, raccogliendoli dove non posso trovarli; casa è la storia di chi ama raccontare storie, quelle di Francesco Ghisu, ed ogni storia dichiara di essere storia narrante di sé dipanata nel suo essere storia. 

Casa è il dentro e il fuori di Marco Bernardi, non un nuovo mondo nuovo ma un antico tempo fuori dal tempo di chi non deve dimenticare il conto dei giorni e delle ore, sempre uguali e mai nuove. Casa è l’aperto e il chiuso di Nina Eaton e Gulia Lusikova che, ridendo e sperando, dipingono le due dimensioni di accoglienza e negazione, imperfezione e ironia; è casa la vela o l’aquilone di Carmelo Baglivo, servibile per navigare nel mare o anche nel cielo, solo non esistesse la gravità che radica i piedi a terra. 

Casa è la riproduzione di quello che chiamiamo casa nelle minuzie di Rossella Menichelli, di bambole mai avute e accadute solo in altri luoghi; casa è la scia delle stelle, di Emanuela Lena, che osserviamo immaginando di seguirne una rotta, alla ricerca di un fuori da noi ma che sempre a noi riporta; casa è quella di Eclario Barone, intrisa di alghe e conchiglie, che attende l’arrivo mai arrivato di favolose creature emergenti dagli abissi del cosmo. 

È casa la sedia amplificata e ripetuta di Alberto D’Amico, che ammicca al non sé, agli universi lontani, ai paesaggi indistinti, a dilemmi ed allucinazioni, ad un abitare mai affermato, continuamente ridiscusso verso un orizzonte. È, infine, casa nello spazio, quello abitato dalla performance di Melissa Lohman, che varia punti di equilibrio raggiungendolo solo in una intima simbiosi tra il corpo e la sua estensione. 

Abitare non significa essere circondato da qualcosa né occupare una certa porzione dello spazio terrestre. Significa intrecciare una relazione talmente intensa con certe cose e certe persone da rendere la felicità e il nostro respiro inseparabili.” (Emanuele Coccia, La filosofia della casa. Lo spazio domestico e la felicità)


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