Francesca Balducci

Francesca Balducci è artista visiva, illustratrice, graphic designer. Vive e lavora a Roma. Con una laurea in filosofia (Bioetica), da anni unisce alla sua passione per gli studi di genere quella per gli studi di cultura visuale e l’arte contemporanea. Ha realizzato diversi progetti di comunicazione grafica e di interior design (murales). Dal 2016 è impegnata in Codice Urbano, un progetto in progress costituito da 3 filoni di ricerca intrecciati e sovrapposti: la ricerca artistica, che spazia dalle produzioni visive (pittura e grafica) fino all’indagine del rapporto, reciprocamente trasformativo, tra segno, materia e spazio (installazioni); la ricerca laboratoriale, che prevede la progettazione e realizzazione di percorsi e esperienze che permettono ai partecipanti (comunità, territori e gruppi di diverse età, genere e professioni) di riflettere sul tema dell’abitare lo spazio urbano attraverso i segni e il movimento (mappe delle emozioni; mappe in movimento); la ricerca teorica, caratterizzata da un approccio multidisciplinare allo studio del rapporto corporeo, visivo e narrativo tra l’essere umano e lo spazio abitato e dei processi di mapping. I 3 momenti sono, per la natura del progetto, in profonda connessione tra di loro e si influenzano e ispirano reciprocamente; 3 movimenti del pensiero e dell’agire che si sostengono e rinforzano l’un l’altro. La ricerca visiva e laboratoriale è stata ospitata da: Musei (MACRO di Roma; MiniMu museo dei bambini di Trieste/Gruppo Immagine; Pinacoteca civica di Follonica); Università e Fondazioni (Libera Università di Bolzano; Università dell’età libera di Follonica; Fondazione Marco Besso di Roma); festival di arte contemporanea e progetti di produzione culturale (TiefKollektiv-ProfondoCollettivo – BZ; La Fabbrica della Città per Toscanaincontemporanea2019 – Follonica/GR; Progetto “Lift” con il Comitato Cantiere Cultura di Follonica – GR; ArtPerformingFestival – NA); residenze d’artista (Glurns Art Point – BZ; Amanei Salina – ME; Festival del Tempo di Sermoneta – LT); gallerie (Kaufhaus Jandorf di Berlino; Galleria Parione 9 – RM; Amanei Salina – ME).

Come nasce il Codice
Francesca Balducci

Per spiegare come il progetto Codice Urbano sia nato e come io abbia sentito la necessità di porre al centro della mia pratica artistica l’ambiente urbano con le sue stratificazioni, sono costretta a ritornare indietro nel tempo, al momento della prima, fortuita, comparsa del Codice. Una sera di fine 2011, di colpo, ho iniziato a disegnare con un pennarello nero una specie di paesaggio industriale, distorto e personale, sul coperchio di una scatola per la pizza da asporto rimasto pulito. Nel 2011 io mi occupavo di grafica già da qualche anno, ma era moltissimo tempo che non disegnavo per me, in totale libertà. L’emersione di questa strana e imprevista immagine, di questa “presenza”, mi ha spinto ad indagare il mio immaginario, senza dubbio fino a quel momento intriso di cinema e letteratura fantascientifica e distopica, per ricombinare in modi nuovi i frammenti di città reali, immaginarie e fantastiche che andavano via via affiorando. Quello che poi diverrà il progetto Codice Urbano, e che coinciderà in maniera quasi totale con l’intera mia pratica artistica, nasce dunque in modo del tutto inatteso e si manifesta, in principio, come semplice urgenza espressiva. Nascere e vivere a Roma, città stratificata e molteplice per eccellenza, è forse la condizione che più di tutte ha contribuito, in modo latente ma costante, a risvegliare in me questo magma espressivo. Così come aver attraversato città altrettanto ricche di Storia, e storie, come Berlino. Lo spazio urbano è spazio dell’immaginazione, della memoria e del desiderio; ma anche spazio di appartenenza, di confinamento e di esclusione; dimensione complessa e stratificata in cui le vicende e le trasformazioni materiali, sociali e culturali condizionano e disciplinano le esistenze di chi le attraversa. 

Ricerca visiva: quartieri, città, paesaggi tra percezione e immaginazione

Il punto di partenza della mia ricerca visiva è il segno urbano reale, realtà semiotica e architettonica insieme, mentre il processo grafico-segnico-pittorico agisce successivamente per selezione, sottrazione e sintesi. Mi interessa esplorare l’ambiguità e la potenzialità poietica dell’immagine bidimensionale e del contrasto pieno tra bianco e nero, sperimentare tutta la fecondità del segno e della forma nella soglia tra l’astrazione e l’imitazione. La bidimensionalità che caratterizza le opere del Codice ha l’effetto di spostare l’accento sull’immagine come soggetto autonomo che ci guarda. In questa autonomia dell’immagine la profondità, che non è intenzionalmente prospettica, si da come movimento e temporalità, interno articolarsi dell’immagine in infinite possibilità. Il pubblico è chiamato a stabilire una relazione reciproca con lo sguardo, ricambiato, dell’opera e a mettersi profondamente in gioco. Il nostro stesso vedere è messo dunque al centro dell’esperienza artistica in quanto atto percettivo e creativo. “Il nostro modo di vedere le cose è influenzato da ciò che sappiamo o crediamo” (J. Berger). La nostra esperienza del vedere le cose, la nostra conoscenza delle cose, ce le fa percepire sempre su piani diversi, su profondità diverse, anche quando queste non abbiano un impianto prospettico. L’uso del bianco e del nero crea zone che generano alla vista rapporti di figura e sfondo. La lettura delle immagini del Codice Urbano è il risultato non della visione retinica ma di un “vedere come”, di uno sguardo che di colpo coglie un certo intrico di linee come qualcosa e che fino a un attimo prima rimaneva nascosto alla nostra vista. Quelle stesse forme e linee, che ad un primo sguardo rivelano trame architettoniche, immaginari industriali e fantascientifici, possono indurre successivamente una molteplicità di interpretazioni, di rappresentazioni, che a ogni nuova lettura rinnovano lo stupore dello spettatore. L’immagine diviene il terreno d’incontro e relazione tra le memorie, gli immaginari urbani (consci e inconsci, privati e collettivi), le percezioni dello spettatore e insieme dell’artista, in una relazione dinamica, continua, sempre aperta a nuove configurazioni. L’esperienza del paesaggio urbano si traduce quindi in una personale cartografia visivo-emotiva, in scrittura visiva esposta per vocazione all’alterità e alla molteplicità di chi guarda, in una reciprocità di rimandi e sguardi che supera il primato dell’ottico per approdare alla dimensione aptica, corporea e del desiderio.

La forma non è mai e poi mai da considerarsi conclusione, risultato, fine, bensì genesi, divenire” (P. Klee).

Mostra personale “Codice Urbano”
Galleria Parione 9, Roma

febbraio  – marzo 2017

La mia prima mostra presenta il progetto Codice Urbano. Ricombinando in modo spontaneo, come una sorta di flusso di coscienza applicato al disegno, elementi base come forme e linee, emerge una mescolanza di forme architettoniche, paesaggi industriali e immaginari fantascientifici. Gli elementi usati sono come lettere di un alfabeto capace di portare alla luce città reali e di fantasia che popolano i nostri immaginari, consci e inconsci, privati e collettivi. Durante la mostra ho previsto la presenza di un piccolo set di tessere con frammenti di Codice, lasciato a disposizione del pubblico per sollecitare un libero gioco di concatenazioni e la creazione di una propria riscrittura urbana, di un proprio personale Codice. La mostra è a cura di Elettra Bottazzi e Marta Bandini.


Residenza artistica
Amanei, Salina

giugno 2017

Il mio progetto “Impressioni di Salina”, in collaborazione con la scrittrice Brunella Greco, viene selezionato per una residenza d’artista della durata di 14 giorni ospitata dall’associazione Amaneï, nell’isola di Salina. Il progetto raccoglie le tracce emotive che hanno segnato il viaggio nell’isola e restituisce l’incontro tra due linguaggi diversi: l’illustrazione e la scrittura. Durante la residenza sviluppo anche il progetto Codice di Salina. Questo lavoro rappresenta, sotto forma di alfabeto visivo, una riflessione sulla figura del triangolo, protagonista di diversi manufatti umani e delle meraviglie naturali dell’isola eoliana. La residenza è a cura di Elettra Bottazzi e Marta Bandini.


Residenza artistica
GAP – Glurns Art Point Glorenza (BZ)

settembre 2018

Partecipo alla residenza d’artista con il progetto Codice Urbano, ricerca visiva – ed emozionale – sul tema degli spazi urbani e dell’abitare. Durante la residenza realizzo una serie di disegni, esposti presso la Torre della Chiesa – Museo Paul Flora, e un’installazione urbana comprendente 12 mattoni in legno dipinti, sparsi e incastonati nel tessuto cittadino (crepe dei muri, davanzali, sostegni ecc..). L’installazione viene inaugurata con una visita notturna in cui il pubblico, accompagnato con torce, viene sollecitato alla ricerca dei mattoncini sparsi in luoghi diversi di Glorenza. Queste opere sono realizzate in occasione della mia partecipazione al Festival TiefKollektiv-ProfondoCollettivo sul tema dell’abitare gli spazi urbani, festival a cura di Michele Fucich. Cosa vedo se  chiudo gli occhi? Cosa rimane della mia esperienza e visione? Una staccionata, uno spigolo, un incrocio di strade, una porta socchiusa, un muro scrostato. L’immaginazione, ispirata dalla memoria, consente di vedere le cose da altri punti di vista: una strada vista dall’alto, il profilo nascosto delle cose, i pieni e i vuoti che incontriamo. Se socchiudo gli occhi, se lascio solo un piccolo spiraglio, il gioco diverte di più. Frammenti di realtà che generano segni e tracce che a loro volta generano ulteriori segni e visioni. Ciascuno è chiamato a fare leva sulle proprie percezioni, esperienze e memorie di spazi attraversati e emozioni vissute. Al gioco della percezione VISIVA non ci si può sottrarre. L’astrazione ed estrema sintesi delle forme geometriche parlano in verità alla nostra concretezza, alla nostra vita e al modo in cui conosciamo e pensiamo la realtà.


Cartografia emotiva di Bolzano 
Libera Università di Bolzano (BZ)

febbraio – marzo 2019

Seconda tappa del Festival TiefKollektiv-ProfondoCollettivo a cura di Michele Fucich. Un nuovo ciclo di disegni ispirati alla città di Bolzano sono stati in mostra presso la Libera Università di Bolzano, insieme a una selezione di opere della serie Codice Urbano del 2017 e alle illustrazioni realizzate durante la residenza a Glorenza. Ho condotto il laboratorio “Mappe delle emozioni. Conoscere Bolzano attraverso i suoi abitanti” in collaborazione con l’associazione Officine Vispa. Partecipazione a un talk presso il Centro Trevi sul rapporto tra centro e periferie nelle città. Le 8 tavole qui esposte sono il frutto della mia personale esperienza della città di Bolzano. Parlando con alcuni abitanti, annotando parole e scattando immagini, scoprendo storie di vita intrecciate in vario modo alla Storia, ho raccolto materiale umano sicuramente frammentato e parziale ma sufficiente a stimolare nuove elaborazioni e immagini della città. Ho continuato le mie ricerche a Roma allo scopo di raccogliere ancora informazioni sui quartieri attraversati a Bolzano e per avere la possibilità di elaborare il ricco bagaglio di emozioni e pensieri che andava via via maturando. Mi sono divertita a giocare con la mappa digitale online di Bolzano e con i suoi diversi livelli di ingrandimento, alla scoperta di ulteriori punti di vista sul territorio, qui concepito come una trama urbana ricca di segni e simboli in attesa di essere resi vivi e attivati dallo sguardo e dall’immaginazione. Nel giro di pochi giorni sono emerse 8 immagini, 8 visioni, ciascuna dedicata a un quartiere diverso, qualcosa a metà tra la metafora visiva e il dettaglio reale. Quello che emerge è una particolare e personalissima mappatura emotivo-cognitiva del mio rapporto con Bolzano, la mia irriducibile esperienza dell’abitare e incontrare la città, i suoi luoghi, le persone, le memorie.


Mostra personale “Codice urbano: mappe e mondi”
Fondazione Marco Besso (RM)

gennaio 2020

Bando Internazionale Residenze Festival del Tempo 2020: 
residenza artistica e Festival del Tempo a cura di Roberta Melasecca
(Sermoneta – LT) settembre 2020 

“Codice di Sermoneta: mappatura degli spazi urbani” – testo presentazione candidatura

Il tema che costituisce lo sfondo del progetto qui presentato è il tema della percezione e immaginazione degli abitanti in rapporto al proprio paesaggio urbano: le città sono disegnate e costruite dai percorsi di vita delle persone che le abitano, dall’intreccio delle loro storie. Il progetto di installazione ideato per il Festival del Tempo prevede un intervento diffuso e disseminato sull’intero tessuto urbano di Sermoneta. Tra gli spazi interessati dall’intervento ci saranno alcuni luoghi messi a disposizione dall’organizzazione come la scalinata del Castello Caetani, Scalinata Marchioni, il Tunnel di Piazza del Comune, Piazza Santa Maria, la Torre Semicircolare; così come altri luoghi scelti sul posto durante la residenza, in accordo con lo staff. L’intervento artistico prevede di disseminare nelle nicchie, nei fori delle mura di pietra, nei pertugi, nelle feritoie, nelle crepe, su davanzali o scalini piccoli mattoni di mdf (derivato del legno) di diverse dimensioni. I mattoni saranno dipinti di bianco su tutti i lati, mentre su almeno 3 lati, quelli più visibili, saranno presenti segni, forme o simboli di color nero, diversi per ciascun mattone. Il progetto qui proposto rappresenta una forma ampliata e più dinamica dell’intervento installativo realizzato nel 2018 durante la mia residenza artistica presso il Glurns Art Point di Glorenza – BZ, nell’ambito del Festival TiefKollektiv/ProfondoCollettivo a cura di Michele Fucich. Le opere così realizzate e collocate nello spazio costituiranno un percorso attraversabile dagli abitanti, volto a far emergere e rendere visibili il vasto serbatoio di forme, tempi, manufatti, simboli della stratificata storia di Sermoneta e del suo presente. Nello spazio della città saranno dunque diffuse le tracce di un codice, di una lingua visiva perduta e da riscoprire, portata nuovamente alla luce seppur in modo frammentato e parziale. Pezzi di un tempo passato da scovare con l’atteggiamento attento e curioso dell’archeologo, ma anche “forme del tempo” (G. Kubler) aperte alla trasformazione nel rapporto con i lettori-abitanti, forme rivolte al futuro in grado di indurre nuove letture, percezioni e interpretazioni. I segni/simboli che caratterizzeranno i mattoni di mdf saranno raccolti attraverso: studio dei simboli medievali e rinascimentali di Sermoneta; ricerca di immagini online; indagine fotografica svolta durante la residenza volta a selezionare gli elementi significativi del paesaggio urbano; visita al museo della ceramica (se possibile); piccola consultazione informale tra gli abitanti, al fine di scovare forme, segni urbani e simboli del paesaggio per loro significativi. Le forme e i segni tracciati sulle “mattonelle” faranno leva sulla qualità poietica della bidimensionalità grafica e del contrasto pieno tra bianchi e neri, in grado dunque di indurre nello spettatore effetti ottici, percezioni e visioni molteplici; lasciando contemporaneamente spazio alll’immaginazione e alla memoria di chi guarda. Il coinvolgimento attivo degli abitanti sarà parte integrante del progetto installativo. A un’analisi più approfondita, Il monolite in legno rivela una duplice natura temporale: esprime fissità, è un arresto del tempo, una sua sospensione; ma nasce da un cambiamento e soggiace alla trasformazione e stratificazione del tempo. Anche spazialmente si rivela la sua interna contraddizione: è un segno visibile che si caratterizza come interruzione dello scenario e del paesaggio urbano, un corpo estraneo che cambia e rinnova lo sguardo; ma anche segno/simbolo radicato nel patrimonio architettonico, artistico e storico di Sermoneta e integrato in esso. La concezione dell’homo faber, il concetto di teknè sono i rimandi alla base dell’utilizzo e della presenza del “monolite” di legno: la sua forma simboleggia la capacità dell’essere umano in generale e dell’artigiano-artista in particolare di intervenire lungo il tempo sullo spazio e la materia, in un rapporto di reciproche influenze, forze e occasioni di conoscenza tra il soggetto e la materia (T. Ingold). La materia si pone essa stessa come soggetto alla pari con l’essere umano, non solo nella fase di lettura e fruizione a sottolinearne la condizione di autonomia, ma anche nel processo di creazione dello stesso manufatto. Il produrre viene qui concepito come processo di generazione della forma, ma la forma o meglio la materia che ne è alla base, è sempre in viaggio, in divenire, va costantemente avanti, superando di volta in volta la destinazione formale che, in ogni nuovo processo di recupero e creazione, le è attribuita. Capire la temporalità interna alla materia, le storie che la materia racconta, ci permette quindi di cogliere uno dei punti centrali dell’intero progetto: le forme (artistiche, artigianali, patrimonio culturale di ogni territorio)  sono sempre nella condizione di trasformarsi in qualcos’altro. Sia come artisti che come fruitori-lettori, siamo coinvolti nella storia dei materiali e assistiamo alla loro vita interna, allo scorrere e agire del tempo. Per questo a mio parere è interessante assistere, una volta allestita l’installazione, agli effetti del tempo, dell’agire degli abitanti e/o degli animali sui mattoni, seppur nascosti e per cosi dire “protetti” da feritoie e pertugi. Questo intreccio di relazioni e interazioni costituisce il cuore pulsante dell’installazione. La corrosione degli agenti atmosferici (sebbene i materiali siano preparati per resistervi), le azioni di spostamento o di nascondimento riservate ai monoliti da parte degli abitanti sono solo alcuni degli effetti che sarebbe stimolante poter registrare con la documentazione fotografica di un prima e di un dopo. Il “manufatto” a cui mi sto riferendo in questo specifico caso è caratterizzato da un segno su una materia, il legno, la quale risulta addomesticata (preparata) già a monte. Il vero protagonista dell’esperienza artistica qui descritta è quindi il processo di scrittura sulla materia e proprio questa condizione introduce, da un altro punto di vista, il tema del tempo. I mattoni dipinti sono il frutto di un processo di studio e selezione delle forme, segni e simboli che costituiscono il patrimonio visivo del territorio e ne rilanciano una personale narrazione, mappatura. I nuovi segni così prodotti sono a loro volta un incontro tra tempi diversi, quelli della storia e cultura di Sermoneta e il tempo dell’elaborazione e creazione, dando luogo a una stratificazione di tempi “originaria” che fa parte in modo costitutivo del processo artistico. A questo incontro si affianca anche quello tra prodotto artistico e fruitore che in questo progetto si esprime sotto forma di lettura, processo che incamera al suo interno la dimensione temporale, del viaggio con l’occhio e con la mente. La pratica del camminare, alla ricerca con lo sguardo del monolite, si fa esperienza ritmica dal valore conoscitivo, mappatura non solo ottica ma anche aptica e corporea. Insieme allo sguardo e alla conoscenza si sposta anche l’immaginazione, quella che Matteo Meschiari (“Neogeografia”) dichiara essere la facoltà per eccellenza dell’homo geographicus. Mettere al centro del progetto, come pratica di fruizione, il camminare consente di esplorare in modo nuovo un luogo familiare, ma anche di mappare con il corpo lo spazio e di spingersi più in là con l’immaginazione oltre i vuoti e i segni, oltre la percezione e la memoria. E “fare spazio” all’immaginazione consente di vivere il proprio territorio in modo più libero, creativo, consapevole.

“Codice di Sermoneta”– testo redatto a conclusione della residenza

Il progetto di installazione diffusa “Codice di Sermoneta” è realizzato attraverso l’uso di tavole di mdf di diverse dimensioni dipinte con immagini di forme urbane, simboli e dettagli di Sermoneta, rielaborati dal mio sguardo e linguaggio visivo. La bidimensionalità delle immagini, la sinteticità del segno, il contrasto puro tra bianco e nero sono elementi usati per giocare con l’ambiguità della percezione. In questo modo lo spettatore è stimolato a riconoscere qualcosa di reale e conosciuto ma anche a produrre e rievocare immagini e visioni che appartengono alla propria esperienza e storia di vita. L’installazione sarà presente in due punti distinti ma vicini. Alcuni mattoncini di mdf sono collocati lungo la scalinata Marchioni, all’interno di nicchie e fori situati nella cinta muraria, scelti tra i più adatti ad accogliere le tavole di legno. Il percorso lungo la scalinata rappresenta una mappatura personale di Sermoneta seguendo il tema del rapporto del tempo con i luoghi. Altri  mattoncini sono collocati nella Torre Nuova del Bastione omonimo, spazio circolare su piano strada e all’aperto, all’interno del quale è allestito un Micro Museo. Entrambi i luoghi sono stati scelti in virtù della loro collocazione e fruizione, luoghi meno battuti e “segnati” dal passaggio dei turisti pur essendo limitrofi al corso principale. Nel rapporto con la città, oltre ad effettuare ricerche di segni urbani utili al progetto, ho cercato di privilegiare le relazioni dirette con gli abitanti affinchè il progetto, per sua natura in situ e in progress, fosse anche il risultato di un incontro e scambio con la popolazione. La presenza dei monoliti ha come scopo quello di generare curiosità e attivare lo sguardo al contesto in cui è inserito, ma anche di attivare processi di risignificazione e trasformazione dei luoghi anche attraverso il coinvolgimento degli abitanti. Da qui l’idea del Micro Museo a cielo aperto, allestito all’interno della Torre Nuova con una parte della produzione visiva del progetto e la partecipazione attiva delle donne residenti nelle case adiacenti. La Torre viene percepita e vissuta dalle donne del quartiere come un prolungamento della propria abitazione, come un luogo di cui prendersi cura, da qui la presenza all’interno dello spazio di paletta e scopa per ripulirlo autonomamente dagli escrementi degli animali. Il mio incontro con loro non è stato vissuto come un’ingerenza bensì come un’occasione  di riattivare quei luoghi così amati ma percepiti come trascurati. Dai racconti delle sermonetane incontrate è emerso come la Torre e il Bastione retrostante fossero anni fa teatro di iniziative culturali e di interventi di gestione e manutenzione, mentre ormai da tempo sia tutto lasciato all’incuria e addirittura, come nel caso del bastione, preclusi al passaggio pubblico. Il contatto che si è creato in poco tempo è stata la condizione per poter coinvolgere quelle stesse donne di diverse generazioni nel processo di ideazione del Micro Museo chiedendo ad esempio di pensare a un nome per il museo. È stato proposto il nome “Era fico” in riferimento al passato della Torre, quando un tempo, piena di terra, ospitava sulla cima un albero di fichi (del quale si nota una traccia nella radice secca che pende dall’alto verso l’interno ormai svuotato della torre). Oltre a questo riferimento mi è stato spiegato che l’espressione consentiva di ricordare della Torre, un altro “tempo, un’altra esistenza e di riandare con la memoria agli anni in cui “era fico” abitare nei suoi pressi, in quanto zona ricca di eventi e attività. Il nome è stato assegnato dunque consapevolmente con un’accezione ironica, curiosa e polisemantica soprattutto per chi non conosce i dettagli, ma significativa per chi quel nome lo ha scelto. Il senso e il significato dei monoliti non risiede solo nella componente visibile e grafica, in connessione esplicita con la storia e l’identità collettiva di un luogo, ma anche e soprattutto nel valore produttivo e trasformativo verso spazi e relazioni, in virtù di una reciproca condizione di scambio e comunicazione tra l’intervento artistico e gli immaginari, i desideri e i bisogni di chi vive e attraversa quei luoghi.


Mostra collettiva 
“ArtPerformingFestival” – V edizione – Castel dell’Ovo (NA)

settembre 2020


Murales su commissione
2017-2019


Skyline su commissione
2020


Nuove sperimentazioni in corso
luglio 2019 – ad oggi


I laboratori: mappe delle emozioni

Laboratorio “Mappe delle emozioni. Conoscere Priverno attraverso le mappe emotive dei suoi abitanti” 
SITI-Laboratorio di immaginazione urbana e umana (Priverno – LT)
ottobre 2018 

Laboratori sulla città
MACRO – Museo dell’arte contemporanea di Roma
dicembre 2018 – marzo 2019 

Storie in scatola. La costruzione di un libro d’artista su Roma in forma di scatola

Durante l’esperienza i partecipanti saranno chiamati a racchiudere nel semplice spazio di una scatola il proprio punto di vista su Roma, la propria personale e multiforme relazione con la città, costruendo un libro d’artista, una micro-scultura di carta e cartone. I partecipanti lavoreranno ispirandosi alla ricerca artistica e al linguaggio visivo del progetto Codice Urbano e al lavoro di designer, architetti e artisti contemporanei e non. I partecipanti avranno a disposizione diversi materiali con cui costruire il proprio codice di Roma. Le scatole saranno dunque contenitore e palcoscenico per la messa in scena di visioni e storie personali, tra memoria, percezione e immaginazione. L’obiettivo finale sarà ottenere una narrazione materica, emozionale, a più voci di Roma; una narrazione sfaccettata e divergente rispetto a quelle mainstream sulla città. L’esperienza del laboratorio sarà concepita come un piccolo cantiere aperto su Roma con momenti di approfondimento, studio e sperimentazione: una spontanea e libera occasione di confronto e scambio tra i partecipanti sulle bellezze architettoniche e le criticità di questa città, sui suoi pieni e vuoti, sulla dimensione privata e pubblica dell’abitare e attraversare la città, sul rapporto complesso tra centro e periferie, avendo come punto di partenza l’irriducibile esperienza di ognuno, ma non tralasciando gli effetti imprevedibili e imprevisti della collaborazione. I partecipanti possono portare, se vogliono, foto o altri piccoli oggetti personali da inserire eventualmente nella scatola.

Mappe delle emozioni. Conoscere Roma attraverso le esperienze di vita dei suoi abitanti

Nell’attraversare e abitare una città quali aspetti dell’esperienza è possibile mappare? Quanti modi esistono di rappresentare un’emozione o un ricordo? Quante nuove mappe di Roma possono nascere? Le mappe servono per orientarsi, perdersi o entrambe le cose? Come esploratori contemporanei della realtà metropolitana proveremo a rispondere a queste e ad altre domande partendo da noi stessi, dalla nostra personale percezione ed esperienza di attraversamento dei quartieri di Roma, dalla memoria e dalla conoscenza di parti della città verso cui intratteniamo un personale rapporto.Le immagini che saranno sollecitate e prodotte all’interno del laboratorio rappresenteranno la vita emotiva, ma anche la visione personale e critica dei partecipanti, in relazione ai diversi spazi e percorsi urbani fatti propri nel tempo. Avremo a che fare con mappe delle emozioni o di emozioni/ricordi/pensieri in forma di mappa. Impareremo a collocare i sentimenti e le esperienze nella nostra personalissima cartografia fatta di spazi abitati, spazi attraversati e spazi sedimentati dentro di noi, ispirandoci al lavoro di artisti che hanno riflettuto e lavorato su questi temi. Faremo l’esperienza di orientarci attraverso personali codici visivi, punti di riferimento e elementi salienti che non siano i luoghi conosciuti da tutti. In questo modo procederemo ad una mappatura degli spazi di Roma capace di rappresentare i diversi e irriducibili tragitti del corpo, dei sensi e della mente. Il laboratorio sarà aperto da un gioco “rompighiaccio” con l’utilizzo di parole scritte su cartoncini e poste a terra, occasione per i partecipanti di iniziare a ragionare a partire dal proprio punto di vista su temi legati alla città. Seguirà una seconda parte più discorsiva e teorica, caratterizzata dalla visione di immagini su schermo o proiettore selezionate ad hoc e da una terza più pratica, con la realizzazione delle proprie personali mappe. L’esperienza si chiude con un momento finale di restituzione collettiva del proprio lavoro per riflettere insieme.

Laboratorio “Mappe delle emozioni. Conoscere Bolzano attraverso i suoi abitanti”
La Rotonda – Officine Vispa (Bolzano)
febbraio 2019 

Laboratori “Mappe delle emozioni. Conoscere Trieste attraverso la vita emotiva dei suoi abitanti”
Mini Mu (Museo dei bambini) – Gruppo Immagine (Trieste)
ottobre 2019 

Laboratori “Mappe delle emozioni. Conoscere Follonica attraverso la vita emotiva dei suoi abitanti”
Associazione culturale Textus e Arcobaleno cooperativa sociale (Follonica – GR)
novembre 2019

Laboratorio “Mappe in movimento: corpo, spazio, emozioni”
Associazione culturale Cantiere Cultura Follonica e Arcobaleno cooperativa sociale (Follonica – GR) 
ottobre 2020

Viviamo negli spazi, circondati da spazi, ma spesso sfuggono alla nostra percezione e comprensione. Lo spazio è una dimensione che diamo per scontata, una realtà che non necessita di essere interrogata, indagata, riconosciuta, nominata. Ci sembra che lo spazio, più o meno antropizzato,  semplicemente esista e che costituisca lo sfondo imperturbabile, dato una volta per tutte, delle nostre attività quotidiane. A ben guardare non esiste un unico spazio, ma una moltitudine di spazi del quotidiano, secondo esperienze e funzioni diverse e, come ci insegna Georges Perec, “vivere è passare da uno spazio all’altro cercando di non farsi troppo male”. Agli esseri umani non è dato esistere in astratto, ma si è sempre collocati e situati in qualche luogo. Saper nominare, descrivere e significare i luoghi che abitiamo attraverso le nostre pratiche di vita e artistiche ci sembra dunque un modo per riappropiarci di una dimensione costitutivamente umana, l’esserci nel mondo come esperienza corporea e percettiva, che spesso non siamo più in grado di riconoscere e valorizzare. Noi siamo in grado di rendere vivi gli spazi attraverso le azioni, individuali e collettive, che compiamo in essi. Gli ambienti sono animati e reinventati dai percorsi di vita delle persone che le abitano, dall’intreccio delle loro storie, memorie e relazioni. Allo stesso tempo i luoghi condizionano e plasmano le nostre attività, quello che ci è possibile e non possibile fare e producono in noi reazioni emotive, sensazioni corporee, pensieri, ricordi, connessioni. Il vero protagonista di questa nostra esperienza di attraversamento dei luoghi è dunque il nostro corpo che si muove all’interno di spazi connessi gli uni agli altri. I movimenti, le azioni e i gesti prodotti dal corpo hanno la loro origine nelle sensazioni e emozioni percepite e di queste ultime ne costituiscono l’espressione e la messa in scena. Ma il corpo è anche il nostro luogo primario, la prima casa, la prima città che abitiamo, cassa di risonanza delle tracce prodotte su di sè dai luoghi. Il focus di questo progetto sono le “mappe emozionali” che, di un territorio, di uno spazio urbano, rappresentano le qualità soggettive, i significati personali; raccontano una storia da un particolare punto di vista, ma sono anche un utile strumento per dar corpo ai beni immateriali di una comunità: quei beni che di un territorio costituiscono il patrimonio relazionale, sociale, collettivo attraverso le narrazioni, la memoria, le pratiche di vita e le esperienze delle persone che lo abitano. Le mappe realizzate durante le ore di laboratorio saranno il frutto di un insieme di pratiche corporee, creative e artigianali proposte e guidate dalle artiste e esperite dai partecipanti. Ogni ragazzo/a sarà chiamato/a a ricostruire (ma anche a reinventare) il tragitto emotivo della porzione di mondo che abita, con particolare attenzione al proprio territorio, al fine di produrre mappe emozionali, corporee, grafiche e materiche durante le giornate di laboratorio previste. I gruppi di partecipanti saranno accompagnati e sollecitati a vivere un’esperienza articolata di mappatura emotivo-cognitiva-corporea del proprio territorio,guidati dalle esperte attraverso un percorso a tappe. 

Le principali attività previste dal progetto saranno:

  • Esplorazione dello spazio urbano e del paesaggio naturale attraverso camminate nei punti significativi del territorio oggetto del laboratorio. 
  • Saranno introdotti, durante gli itinerari, input visivi e concettuali (immagini e parole scritte) e stimolate pratiche corporee (esperienze somatiche dello spazio);
  • “Riscrittura” corporea degli spazi attraversati durante le esplorazioni esterne. I partecipanti saranno chiamati a sperimentare e a rintracciare le risonanze emotive e corporee legate alle esperienze vissute e a rielaborare le sensazioni evocate da un particolare segno o spazio traducendolo in gesti, movimenti, azioni;
  • Attività individuale di creazione delle mappe emozionali rappresentative dello spazio vissuto e immaginato. I partecipanti prenderanno confidenza con i materiali proposti per la realizzazione delle mappe e si procederà con la parte pratica e creativa dell’esperienza. Ciascun partecipante produrrà un proprio lavoro creativo (una mappa grafica, materica, tattile, tridimensionale o bidimensionale) facendo uso di materiali molto semplici e delle tecniche del disegno e del collage. Ai partecipanti saranno costantemente forniti spunti, indicazioni, suggerimenti anche attraverso la visione di immagini di esempio o ispirazione;
  • Restituzione dialogica e collettiva delle mappe create e di quanto appreso durante l’intero percorso laboratoriale;
  • Traduzione delle forme visive create (mappe emozionali) in partiture di movimenti corporei (performance: mappe incarnate, mappe viventi).

L’obiettivo primario della proposta di laboratorio è stimolare, promuovere e incentivare:

  • l’educazione al vedere e al percepire;
  • il valore cognitivo delle immagini (quelle create a mano dai partecipanti, ma anche quelle mentali sollecitate dall’esperienza, quelle sottoposte all’attenzione dei partecipanti dalle due esperte ecc..) nella valorizzazione e riscoperta dei territori;
  • la conoscenza, l’esplorazione e risignificazione degli spazi urbani e naturali attraverso esperienze somatiche e di movimento; 
  • la valorizzazione dei beni immateriali dei territori (storie, emozioni, idee, ricordi e percezioni degli abitanti/partecipanti);
  • la fruizione collettiva dello spazio pubblico attraverso modi originali e inclusivi di partecipazione; 
  • forme di manualità artigianale e creativa capaci di dare corpo a punti di vista alternativi sul reale.

Al termine del percorso proposto i/le ragazzi/e acquisiscono o rinforzano la capacità di riconoscere e dare valore alle proprie percezioni, emozioni e memorie dei luoghi attraverso la manualità e la corporeità. I grandi protagonisti al centro dell’esperienza, lo spazio e il corpo, vengono analizzati, esperiti e vissuti da molteplici prospettive e punti di vista. La relazione tra corpi diversi nello spazio si rivela dinamica, non solo come conflitto, ma anche come molteplicità di voci e corpi, come mezzo potente di conoscenza e trasformazione del mondo. Tale relazione, complessa e sfaccettata, può aspirare ad essere condizione di dialogo e empatia tra individui, passando attraverso il riconoscimento e l’identificazione di luoghi, parole, vite, immagini, conflitti e desideri che fanno parte della propria biografia. Il percorso “Mappe in movimento” ha come punto di partenza l’individuo, il sé, ma la direzione verso cui si muove è la collettività, l’insieme delle connessioni e degli intrecci tra culture, geografie e biografie diverse. In collaborazione con Laura Scudella, coreografa, danzatrice, insegnante di teatro fisico, pedagogista.


Posted

in

by

Tags:

Comments

Lascia un commento

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora